Climate Change by NOOR


 

Climate Change by NOOR è un progetto pluriennale dedicato al clima, pensato e realizzato dai fotoreporter di NOOR.

La prima parte, Consequences by NOOR, vuole denunciare i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici nel mondo. I reportage, realizzati nell’autunno 2009, mostrano non tanto cosa potrebbe accadere in futuro, ma quello che già si sta verificando, mettendo così l’accento sulla necessità di intervenire il prima possibile sulle realtà più a rischio.

Nell’autunno 2010 i reporter di NOOR realizzano Solutions by NOOR con l’intento di documentare che cosa è possibile fare per contenere l’aumento delle temperature e limitarne gli effetti. I progetti raccontano storie di uomini che, utilizzando risorse alternative ed energie rinnovabili, tentano di mitigare le conseguenze del riscaldamento globale, o semplicemente di far fronte al cambiamento.

Nikon BV ha supportato entrambi i progetti.

Inaugurazione e visita con gli autori presso la Ex Chiesa di San Cristoforo – via Fanfulla 14, Sabato 14 aprile alle 18.00.

I numeri de l’EuropeoIl pianeta ferito‘ e ‘La terra promessa‘, interamente dedicati a Consequences e Solutions by NOOR, saranno disponibili presso la postazione di Micamera, Ex Chiesa di San Cristoforo – via Fanfulla 14.


Biografie

NOOR (“luce” in arabo) è un’agenzia fotografica e una fondazione con sede ad Amsterdam e New York. Sin dalla sua creazione nel 2007, NOOR elabora e distribuisce materiale fotogiornalistico con lo scopo di accrescere la consapevolezza e la comprensione del mondo e contribuire alla storia visiva dell’umanità. Supporta la produzione di reportage fotografici su questioni relative ai diritti umani o di importanza globale, per portare “luce” su tematiche solitamente non rappresentate a sufficienza dai mezzi d’informazione: cambiamenti climatici, guerre e conflitti, diritti umani, disastri naturali.

 

Nina Berman (Stati Uniti, 1960), con i suoi progetti a lungo termine, si è occupata principalmente della politica e della società statunitensi. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti sia in ambito fotogiornalistico che artistico. Vive a New York, Stati Uniti.

Francesco Zizola (Italia, 1962) ha fotografato i principali conflitti del mondo e le loro crisi nascoste. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per la fotografia di reportage. Vive a Roma, Italia.

Alixandra Fazzina (Regno Unito, 1974) ha raccontato i conflitti dimenticati e le conseguenze umanitarie della guerra. Dopo aver studiato Belle Arti, inizia la sua carriera in Bosnia come fotografa di guerra. Da quel momento lavora come fotogiornalista in Europa orientale, Africa, Medio Oriente e Asia, e segue le rotte del contrabbando nel Corno d’Africa. Vive in Pakistan.

Kadir van Lohuizen (Olanda, 1963) è conosciuto per i suoi reportage sui sette fiumi del mondo e sull’industria dei diamanti. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per i suoi lavori. Fa parte della commissione di sorveglianza (Supervisory Board) del World Press Photo e ha pubblicato diversi libri. Vive ad Amsterdam, Olanda.

Pep Bonet (Maiorca, 1974). I lavori di Pep Bonet si concentrano in genere su temi africani e sono progetti a lungo termine. I suoi reportage su temi sociali come l’Hiv/Aids hanno dato vita a diversi libri di fotografia e a numerose mostre in tutto il mondo. Ha ricevuto molti premi e riconoscimenti in ambito fotografico. Vive a Maiorca, Spagna.

Stanley Greene (Stati Uniti, 1949) ha raccontato realtà di ogni parte del mondo. La sua testimonianza della guerra in Cecenia è il suo lavoro più conosciuto. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il fotogiornalismo. Vive a New York, Stati Uniti.

Jon Lowenstein (Stati Uniti, 1970) negli ultimi dieci anni si è specializzato in progetti foto-documentaristici a lungo termine caratterizzati da una profonda e critica analisi della realtà. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la fotografia di reportage. Vive a Chicago, Stati Uniti.

Yuri Kozyrev (Russia, 1963), nato in Russia, ha raccontato tutti i principali conflitti dell’ex Unione Sovietica, oltre ad aver trascorso buona parte degli ultimi otto anni a Baghdad, Iraq. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il fotogiornalismo. Vive a Mosca, Russia.

Siti internet:

www.noorimages.com
www.10bphotography.com


 

 

Approfondimenti

CONSEQUENCES by NOOR

Sentiero di distruzione di Nina Berman | British Columbia, Canada | agosto 2009

I coleotteri corticicoli dei pini hanno distrutto più di 150mila metri quadrati di foreste di pino nella British Columbia. Secondo gli esperti, almeno l’80% dei pini in età adulta morirà entro il 2014. Non più grande di un chicco di riso, il coleottero corticicolo è un insetto diffuso nelle Montagne Rocciose dell’ovest, in Nord America. Una volta, le temperature invernali sotto gli 0°C tenevano il numero degli insetti sotto controllo. Il surriscaldamento ha tuttavia permesso alle larve di sopravvivere all’inverno e di proliferare a un ritmo impressionante. Gli alberi morti sono il combustibile ideale per gli incendi. Il 2009 è stato l’anno che ha fatto registrare il maggior numero di incendi nella storia della provincia canadese. Le conseguenze dell’infestazione sono enormi e hanno appena cominciato a manifestarsi. La distruzione operata dai coleotteri ha provocato il disfacimento dell’economia di regioni dipendenti dal legno e dal turismo. Il sentiero di distruzione può essere riconosciuto nel drammatico mutamento di colore e forma del paesaggio. Solo il ritorno del freddo intenso potrà contenere la proliferazione delle larve.

Karabash di Yuri Kozyrev | Karabash, Russia | ottobre 2009

Il progetto si concentra su Karabash e su altre città inquinate della zona industriale d’epoca sovietica situata nella regione di Chelyabinsk, a sud degli Urali, in Russia. Grazie a un’eredità fatta di emissioni di agenti chimici, metalli pesanti e radiazioni – tra cui una fuga più grave dell’esplosione di Chernobyl – Karabash, negli anni Novanta, si è guadagnata la fama di luogo più inquinato del mondo.

Nel corso degli anni, i processi di lavorazione delle materie prime, per molto tempo affidati a vecchie tecnologie, hanno prodotto circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti riversati nelle discariche cittadine. Tra i rifiuti si trovano quantitativi ingenti di elementi preziosi, inclusi rame, zinco, oro, argento, platinoidi, terre rare e tracce di metalli rari.

Le case di legno e i piccoli appartamenti degli abitanti di Karabash sono letteralmente circondati da cumuli neri di rifiuti industriali alti 14 metri.

Sin dal 1910, prima ancora che i Bolscevichi andassero al potere, la ciminiera della fonderia di rame di Karabash ha immesso nell’atmosfera almeno 180 tonnellate di anidride solforosa e particolati contenenti metalli.

La fonderia di Karabash è stata chiusa nel 1990, dopo che i funzionari sovietici dichiararono lo stato d’emergenza ambientale. La perdita di posti di lavoro fece piombare la città nella povertà tanto che l’impianto, ormai vecchio più di un secolo, venne riaperto nel 1998 senza alcun tipo valutazione dei rischi o dell’impatto ambientale. Al momento della riapertura della fonderia sotto dirigenza privata, quasi nessuno si è opposto.

I rifugiati del clima nel Corno d’Africa di Jan Grarup | Corno d’Africa | novembre 2009

Il più esteso campo profughi del mondo si trova a Dadaab, in Kenya. L’accampamento, con i suoi 300mila occupanti − a cui si aggiungono nuovi arrivi ogni giorno − è sul punto di esplodere. Molti dei rifugiati hanno abbandonato il sud della Somalia a causa della guerra tuttora in corso. Altri sono profughi del clima, vale a dire persone costrette a lasciare la propria casa in seguito a lunghi mesi di grave siccità. Nei loro paesi, le precarie condizioni dovute alla siccità sono state aggravate dalle abbondanti precipitazioni. La terra, troppo secca, non ha assorbito le piogge, e le acque alluvionali si sono ingrossate arrivando a distruggere accampamenti e contaminando la rete dei servizi igienici. Questo ha comportato il diffondersi di malattie che stanno rapidamente infettando migliaia di persone costrette a bere acqua contaminata. Nella regione centrale della Somalia, i rifugiati provenienti dal sud del paese si mescolano ai profughi arrivati dall’Etiopia, messi a loro volta in fuga dalla siccità e dalla scarsità di cibo e acqua.

In molti cercano di lasciare il Corno d’Africa alla volta dello Yemen – che sta facendo i conti con l’arrivo di migliaia di rifugiati – nella speranza di trovare condizioni di vita migliori. La realtà che trovano, però, non è poi così diversa: secondo le stime dell’Onu, entro il 2012 i rifugiati del clima potrebbero essere più di 50 milioni, molti dei quali nel solo continente africano.

La penisola di Yamal di Yuri Kozyrev | Yamal, Russia | ottobre 2009

Nella lingua dei Nenet, la popolazione indigena, Yamal significa “fine del mondo”. Questa penisola, lunga oltre 700 chilometri e situata nel nordovest della Siberia, accoglie più di 400mila Nenet e nasconde la riserva di gas naturale più grande del mondo.

Per un migliaio d’anni i Nenet hanno condotto le loro renne addomesticate verso i pascoli estivi a nord del circolo polare artico: le loro condizioni di vita sono ora minacciate dall’innalzamento delle temperature e dal feroce appetito del mondo per il gas naturale. I Nenet erano soliti attraversare il fiume Ob’ a novembre, quando la superficie era ghiacciata, e allestire gli accampamenti nelle foreste. Negli ultimi tempi questo pellegrinaggio invernale con cadenza annuale è stato ritardato. I Nenet, insieme alle loro migliaia di renne, devono attendere fino alla fine di dicembre, quando il ghiaccio è finalmente spesso abbastanza da consentire l’attraversamento. Con i pozzi d’estrazione del gas sono arrivate anche le linee ferroviarie e le condutture dei gasdotti che s’intersecano con le rotte delle mandrie, causando spesso, alle renne, la frattura delle zampe. Anche il pesce, un tempo uno degli alimenti principali, è in diminuzione. I Nenet danno la colpa alle trivellazioni in mare aperto.

Campi neri: l’industria del carbone in Polonia di Pep Bonet | Miniere di carbone, Polonia | settembre 2009

La Polonia è uno dei maggiori produttori di carbone in Europa. Il bacino carbonifero della Slesia Superiore, dove il carbone viene estratto da più di 150 anni, è tappezzato di miniere, acciaierie, forni a coke e impianti chimici, mentre i rifiuti di queste industrie riempiono centinaia di discariche in tutta la regione.

Tra tutti i combustibili, il carbon fossile è quello con il maggior impatto sui cambiamenti climatici ed è responsabile della produzione di un terzo delle emissioni mondiali di CO₂. Il fumo proveniente dagli impianti alimentati a carbone inquina l’aria e la fuoriuscita di liquidi dalle miniere è responsabile della contaminazione della falda acquifera, dei corsi d’acqua e dei laghi.

In Polonia più del 50% dell’energia deriva dalla combustione del carbone, una delle principali fonti di gas a effetto serra. Malgrado le riforme attuate negli ultimi dieci anni, gli esperti sono convinti che l’impatto di nuove attività d’estrazione avrà conseguenze non solo sulle aree circostanti ma anche su quelle lontane centinaia di chilometri. L’estrazione del carbone resta un’attività pericolosa e inquinante. Se le compagnie minerarie continueranno a rifiutarsi di tenere in conto questa realtà e di rivedere le proprie strategie, il danno causato dalle miniere a cielo aperto in Polonia potrebbe solo essere agli inizi.

Un paradiso in pericolo di Francesco Zizola | Maldive | ottobre 2009

La Repubblica delle Maldive è lo stato insulare più vicino al livello del mare. Il surriscaldamento globale e il conseguente scioglimento dei ghiacciai perenni gonfiano gli oceani minacciando questo paradiso tropicale dell’Oceano Indiano. Le Maldive rischiano così di diventare il primo paese a essere inghiottito dalle onde. Secondo le stime degli esperti, entro i prossimi 15 anni l’innalzamento del livello dei mari costringerà i circa 400mila abitanti dell’arcipelago a emigrare altrove.

Altre isole e aree costiere del mondo sono esposte alla stessa minaccia. Le nazioni più povere e i paesi in via di sviluppo subiranno le conseguenze più gravi delle migrazioni indotte dall’innalzamento dei mari. I cosiddetti rifugiati del clima, infatti, si riverseranno nei paesi vicini.

Nell’ottobre del 2009, il presidente delle Maldive Mohamed Nasheed ha tenuto una riunione del consiglio dei ministri sott’acqua, nel tentativo di attirare l’attenzione della comunità internazionale sulla minaccia che pende sull’arcipelago e invitare così i paesi più avanzati a ridurre le loro emissioni di CO₂. Il presidente Nasheed è convinto che le Maldive debbano inaugurare il cammino verso un futuro sostenibile. È per questo che ha dichiarato l’intenzione di trasformare il paese, entro il 2020, nella prima nazione a emissioni zero. La strada che lo attende è tuttavia piena di ostacoli, sotto ogni punto di vista. Oltre alla dipendenza da settori ad alto consumo energetico come il turismo e la pesca, le Maldive poggiano su un sistema di produzione dell’energia altamente inquinante. Se a ciò si aggiunge l’assenza di un sistema di smaltimento dei rifiuti efficiente, molti sono i passi che devono ancora essere mossi.

Nelle sabbie bituminose di Jon Lowenstein | Alberta, Canada | ottobre 2009

Le sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, costituiscono il secondo più grande giacimento petrolifero al mondo subito dopo l’Arabia Saudita. A differenza del greggio comune, estratto dalle profondità del sottosuolo, le sabbie bituminose sono una combinazione di sabbia, argilla, acqua e bitume che si trova vicino alla superficie terrestre. L’estrazione delle sabbie provoca la distruzione del paesaggio naturale, l’inquinamento delle acque e, assieme all’attività di raffinazione, è responsabile, per il 5%, delle emissioni di CO₂ del Canada intero. Nel nostro mondo globalizzato, la storia di queste sabbie racconta tanto della contaminazione delle acque quanto di quella dei sogni: mette a nudo il degrado ambientale delle aree di estrazione e denuncia, allo stesso tempo, il degrado morale legato all’avarizia umana. Nonostante l’estrazione e la raffinazione delle sabbie bituminose siano processi estremamente costosi, l’ascesa del prezzo del petrolio ha reso queste attività molto redditizie. Il piccolo centro di Fort McMurray, dove vivono molte delle persone che lavorano nei giacimenti, è noto ai residenti col soprannome di Fort McMoney. La popolazione della cittadina è esplosa in seguito all’afflusso di lavoratori dell’industria petrolifera provenienti da tutto il mondo e le casse dello Stato canadese si sono gonfiate di miliardi di dollari in concessioni.

La guerra dei pascoli in Brasile: assalto all’Amazzonia di Kadir van Lohuizen | Pará, Brasile | ottobre 2009

La foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, l’area che vanta la maggiore biodiversità del pianeta, si sta contraendo al ritmo di decine di migliaia di chilometri quadrati ogni anno. La deforestazione, tra il 60 e il 70%, è dovuta all’attività degli allevatori di bestiame che tagliano, bruciano o abbattono gli alberi con i bulldozer, per creare pascoli destinati alla fiorente industria bovina nazionale. Negli ultimi anni il Brasile è diventato il più grande esportatore di manzo e, non a caso, il terzo paese più inquinante al mondo dopo Cina e Stati Uniti. Ogni otto secondi, in Amazzonia, un’area di foresta grande come un campo da calcio scompare.

Il fumo delle foreste date alle fiamme e quello dei forni dove il legno è trasformato in carbone riempie il cielo. Anche il bestiame è responsabile della produzione di gas serra come il metano, dotato di un potenziale di riscaldamento globale 20 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Gran parte della deforestazione destinata a far spazio ai pascoli è illegale. Tuttavia i proprietari di bestiame sono una corporazione molto potente in Brasile, un paese in cui il 75% della terra è nelle mani del 3% della popolazione. Persino le riserve naturali come la ‘Terra do Meio’ non sono al riparo dal pericolo della deforestazione illegale.

Ombre del mutamento di Stanley Greene | Uummannaq, Groenlandia | ottobre 2009

In nessun’altra parte del pianeta i segni dei cambiamenti climatici sono così evidenti come in Groenlandia. I ghiacci che coprono l’80% dell’isola più grande del mondo stanno scomparendo al ritmo del 7% l’anno, un valore che negli ultimi anni sta crescendo notevolmente. In alcune zone, le piattaforme di ghiaccio galleggianti sono ormai così sottili da impedire agli Inuit (la popolazione locale) di raggiungere i tradizionali terreni di caccia. Anche il permafrost si sta sciogliendo e il terreno si è fatto paludoso, instabile per le costruzioni e difficile da solcare con le tradizionali slitte. Nel peggiore dei casi, l’anidride carbonica rilasciata dallo scioglimento del permafrost potrebbe eguagliare il totale di CO₂ presente nell’atmosfera terrestre.

Sopravvissuti per secoli grazie alla caccia a foche e balene, gli Inuit osservano impotenti le proprie tradizioni scomparire. “Il clima non ci appartiene. Appartiene a qualcun altro. Senza il ghiaccio, noi moriremo”. Con questo pronostico, un cacciatore Inuit sintetizza la dura realtà che le popolazioni indigene del nord e delle regioni orientali della Groenlandia devono affrontare.

Fino all’ultima goccia di Nina Berman | Las Vegas, Stati Uniti | giugno 2010

La principale risorsa idrica per la città e per i milioni di persone che vivono nel sudovest del paese è rappresentata dal lago artificiale Mead. Tuttavia il livello dell’acqua del bacino ha raggiunto il punto più basso ed è in costante diminuzione. Gli scienziati prevedono che scomparirà completamente entro il 2021.

Al momento una terza pompa è stata installata nel lago per rifornire d’acqua gli abitanti di Las Vegas.
Nonostante l’impegno a sostituire i cactus con prati d’erba, i laghi artificiali di acqua potabile e i campi da golf sono tuttora molto comuni nello stato del Nevada, come a Coyote Spring dove, con un progetto che prevede la nascita di una nuova comunità urbana, si spera di trasferire 200mila persone nel deserto.

Trentasei milioni di turisti visitano ogni anno la città di Las Vegas.

 

SOLUTIONS by NOOR

Rinverdire il ghetto di Nina Berman | Bronx, Stati Uniti | luglio-ottobre 2010

Quella che un tempo era la più famosa baraccopoli statunitense si trova oggi alla guida di un movimento nazionale denominato “giustizia ambientale”, che lotta contro i cambiamenti climatici. Il motto si può riassumere nell’espressione: “ciò che fa bene al pianeta, fa bene a tutti”. Il sud del Bronx, immortalato in moltissimi film con le sue distese di case popolari date alle fiamme, strade ricoperte di macerie, gangster e ragazzi hip-hop, appare oggi piuttosto diverso rispetto al 1977, quando l’allora presidente Jimmy Carter attraversò le rovine urbane del quartiere.

La dolce soluzione brasiliana di Francesco Zizola | Brasile | ottobre 2010

Il tentativo di ridurre la propria dipendenza dal greggio, in un’epoca minacciata dalla prima grande crisi petrolifera e dalla scarsità della preziosa materia prima, ha portato il Brasile in prima linea nella battaglia contro i cambiamenti climatici. Il Brasile, gigante dell’agroindustria, è il secondo produttore al mondo di bioetanolo e il maggior produttore di canna da zucchero. Il bioetanolo brasiliano, ottenuto dalla lavorazione della canna da zucchero, è considerato ad oggi il biocarburante più efficiente in termini di bilancio energetico ed emissioni di gas a effetto serra, e sta lentamente sostituendo la benzina e il diesel in settori strategici. Oggi infatti il bioetanolo non è utilizzato solo per alimentare i veicoli leggeri, ma è in fase di sperimentazione anche sugli autobus pubblici e nelle centrali elettriche.

Tupande miti! Silvicoltura sostenibile di Alixandra Fazzina | Repubblica Democratica del Congo | novembre 2010

La deforestazione produce circa un quinto delle emissioni totali di gas serra. Proteggere le foreste tropicali che rimangono al mondo è un passo fondamentale per affrontare la crisi climatica. Gli abitanti del Congo orientale stanno già facendo i conti con gli effetti della deforestazione, ormai causa dell’alterazione delle precipitazioni e delle secche dei fiumi. I cambiamenti climatici in questa regione sono un problema concreto che mette a rischio la vita di molte persone: la scarsità delle piogge altera i cicli delle colture e impoverisce le riserve d’acqua. Negli ultimi dieci anni si è levata un’esortazione: “tupande miti”. Piantate gli alberi!

L’energia del vento di Kadir van Lohuizen | Cina | novembre 2010

Con una capacità di generazione elettrica pari a 41,8 gigawatt (GW), la Cina è diventata il primo produttore al mondo di energia eolica alla fine del 2010, togliendo il primato agli Stati Uniti. Grazie alla notevole estensione delle regioni interne e delle sue coste, la Cina possiede eccezionali risorse eoliche e un potenziale di crescita fuori dal comune, che il governo intende sfruttare in modo sempre più sistematico. L’obiettivo è arrivare a distribuire 100 gigawatt di energia elettrica proveniente dall’eolico per la fine del 2015 e produrre energia eolica per 190 milioni di chilowattora l’anno. Ricercatori dell’università di Harvard e Tsinghua ipotizzano che la Cina riuscirà a provvedere al suo fabbisogno elettrico grazie all’eolico entro il 2030. Enormi parchi eolici con migliaia di aerogeneratori sono in costruzione nelle province della Mongolia Interna, Xinjiang, Gansu e in molte altre. Ad oggi la produzione di energia potrebbe già coprire il fabbisogno di 55 milioni di famiglie cinesi.

Terra a vapore di Pep Bonet | Islanda | novembre 2010

L’eccezionale conformazione geologica dell’Islanda e l’alta concentrazione di vulcani nella regione risultano vantaggiose nella produzione di energia geotermica per la fornitura di elettricità e riscaldamento. Il 100% dell’elettricità dell’isola deriva da fonti pulite e il governo prevede, entro i prossimi 30 anni, di abbandonare l’uso dei combustibili fossili. L’energia geotermica si ottiene sfruttando il calore naturale della Terra, che fuoriesce solitamente da vulcani, sorgenti termali e geyser. Solo quando il calore sprigionato supera i 150°C, la fonte è considerata idonea a essere utilizzata per la produzione di energia elettrica e termica.

Il sole in pugno di Stanley Greene | Kenya | novembre 2010

Le lampade a energia solare possono risolvere concretamente il problema dei cambiamenti climatici e rappresentare una soluzione positiva, sia a livello economico che ambientale, portando l’elettricità anche in zone dove è particolarmente costosa e quindi inaccessibile alle fasce più povere della popolazione. Il Community Youth Programme di Kibera, il ghetto di Nairobi, in Kenya, raccoglie giovani delle baraccopoli coinvolgendoli nella costruzione di lampade solari per tutta la comunità. I proventi ottenuti dalla vendita delle lampade vengono equamente divisi tra i componenti del gruppo. La struttura del centro giovanile è provvista di un pannello solare, ma è l’unico in tutta Kibera. La speranza è di riuscire a costruire pannelli solari per soddisfare il fabbisogno energetico dell’intera comunità.

La soluzione cubana di Jon Lowenstein | Cuba | ottobre 2010

Nel 1991 in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, Cuba venne lasciata a se stessa. Le abbondanti scorte di petrolio che sino ad allora avevano fatto girare l’economia subirono una battuta d’arresto e scesero al 10% dei quantitativi solitamente importati prima del 1990. Molti furono gli effetti negativi a livello economico, tanto che le abitudini dei cubani mutarono in modo radicale. Le riserve di cibo cominciarono a scarseggiare, le auto risalenti agli anni Cinquanta vennero utilizzate come taxi, le persone cominciarono a viaggiare in auto di gruppo e escogitarono molti modi innovativi per sopravvivere al cambiamento.

Il verde esodo russo di Yuri Kozyrev | Siberia, Russia | novembre 2010

In Siberia, centinaia di professionisti − stanchi del consumismo, della politica statale e della corruzione − stanno facendo ritorno a uno stile di vita sostenibile, a stretto contatto con la natura. Vivono nelle tipi, tende fatte con pelli e corteccia, allevano cavalli e si identificano con i nativi americani. Credono nel potere magico dell’albero di cedro e ne piantano a migliaia. Hanno dato vita a centinaia di comuni ecologiche nei quattro angoli della Siberia, sui monti Altaj e nelle foreste della Karelia, alla ricerca di un più sereno e alternativo stile di vita.