Visita guidata della mostra con l’autore Domenica 20 Ottobre, ore 11.00.
Ex Chiesa dell’Angelo – via Fanfulla, 22.
“Fever” e’ il primo grande capitolo di una ricerca piu’ ampia che sto affrontando negli ultimi anni.
Sto tentando di approfondire il sentimento primordiale che sta caratterizzando sempre piu’ i nostri tempi: la rabbia.
Ho cominciato ad interrogarmi sui fattori scatenanti e sui molteplici strati emotivi in cui puo’ esprimersi ed ho da subito intuito che il primo passo necessario, per realizzare la mia indagine, sarebbe stato quello di farmi investire emotivamente, mediante l’esperienza diretta.
Il canale politico e’ stato il primo passo da affrontare ed ho compreso da subito che inseguire la rabbia sarebbe stato un cammino denso, come correre nel miele, e il tentativo di impregnarsi completamente in certe dinamiche, attraverso la condivisione del quotidiano, si e’ spesso rivelato contaminante. Questa sensazione sulla pelle, come per induzione, della rabbia, mi ha concesso una ulteriore opportunita’, respirare nel nido dove la rabbia macera e sa contaminare chiunque, precisamente come fa un germe aerobico, proprio li, all’interno del branco.
Ho imparato che nel branco gli uomini possono perdere la propria autonomia intellettuale, ideologica e indentitaria a favore di un ipotetico scopo più alto, un credo o un traguardo intellettuale che accomuna i membri del gruppo.
Ciascuno dei componenti può identificarsi in questa scelta, come parte integrante ed attiva allo scopo del branco, o possono limitarsi a cedere alla fascinazione dell’appartenenza identitaria, politica, religiosa e quindi rinunciare all’opportunità di divenire leader delle proprie scelte.
Ancora una volta al centro della questione c’è l’ego di ciascuno di noi e la capacità di gestirne l’integrità etica o morale, laddove se ne sappia distinguere la differenza linguistica o meglio ancora contenutistica.
Ho cominciato a fotografare l’habitat fascista nel 2009, e nel corso degli anni ho provato diversi approcci e tecniche fotografiche. Ho imparato a trovare la giusta distanza tra me e i soggetti, non solo fotografica, ma soprattutto psicologica.
La recente rivoluzione Mediterranea, la cosiddetta “primavera araba”, ha fatto impennare esponenzialmente il numero di persone in fuga dai loro paesi, un esodo di disperati che non si verificava da decenni. Questo ha amplificato il germe della paura e come conseguenza dell’intolleranza razziale tra i più giovani in gran parte d’Europa. Un altro fattore che soffia ossigeno sulla fiamma della rabbia nelle nostre società, è senza dubbio rappresentato dalla crescente crisi, soprattutto in Europa, costringendo l’individuo in un angolo.
Negli ultimi anni, questi fattori hanno creato le condizioni per una chiusura tra le persone e l’apertura di filosofie basate su “ciascuno per sé”.
I tempi a cui andiamo incontro, sono il terreno ideale per queste dinamiche, fondamentalmente basate sulla paura.
La paura genera rabbia, questa alimenta il bisogno di avere un nemico e illude chiunque non abbia individuato una propria direzione esistenziale e investe se stesso in un sentimento che sa soltanto sottrarre energia alla propria vita.
Nell’era della globalizzazione, centinaia di migliaia di persone in tutta Europa, urlano al mondo “io esisto”.
“Io esisto e non sono un prodotto della vostra società. Io esisto perché vivo la mia identità unica ed imprescindibile ed appartengo ad un popolo, una religione, una razza “.
“Fever” non è un soltanto un approfondimento politico, ma è la mia opportunità di indagare i nostri tempi e trovare la traducibilita’ visiva dei miei studi antropologici in storie autentiche, attuali e tangibili.